venerdì 21 febbraio 2014 08:19 Età: 10 yrs

Disquisendo di droni

Categoria: Aeroporti, Altri scali, Aerobasi, Pubblicazioni, Archivio, Dossier, Convegni, Human factor, Piani di rischio, Std ICAO ENAC

 

Considerazioni del Com.te Renzo Dentesano

Sul numero di Gennaio 2014 dell’Agenzia di stampa aeronautica, tecnica e politica AIRPRESS dedicato a “Un futuro a pilotaggio remoto”, ho letto, fra gli altri numerosi articoli interessanti il proliferare mondiale dei “droni”, ora anche civili oltre che militari, anche un mini articolo a firma del noto e stimato giornalista e storico aeronautico Professor Gregory Alegi, titolato “Dacci oggi il nostro drone quotidiano” da lui dedicato alla previsione con la quale chiude il suo scritto:-«Nel giro di cinque anni, insomma, la tecnologia per un mini-drone quotidiano potrebbe esserci. Il mercato … molto meno»!

Spero, ardentemente, che il Professore abbia pienamente ragione perché l’idea di vedersi girare sopra la testa una miriade di questi “aggeggi volanti”, a due, quattro o otto rotori, prevedibilmente per lo più finiti in mano a sprovveduti (nel migliore dei casi), a me non entusiasma affatto, anzi mi preoccupa fortemente ! E chissà quante persone in Italia condividono o condivideranno questo senso di pericolo, ma anche di sentirsi ulteriormente “spiati”, anche da questi volatili tecnologici, oltre che dalle varie telecamere sparse in ogni dove.

Il mini articolo prende lo spunto da due annunci pubblicitari, chiaramente commerciali, comparsi sui media di mezzo mondo (Italia inclusa) con i quali due noti brand, rispettivamente un grosso distributore di beni di consumo qual è Amazon ed un distributore postale quale è Deutsche Post mostravano come nel prossimo futuro intenderebbero effettuare le consegne ai destinatari di piccoli pacchi - secondo le loro dichiarazioni – «non appena saranno pronte le necessarie normative».

Partendo dalle quotidiane notizie della presentazione continua di nuovi mini-droni prodotti da costruttori ormai di tutto il mondo (Italia inclusa, in quanto prontamente dotata di normativa di ENAC per “aggeggi volanti” fino al peso massimo di 150 kg.) il Prof. Alegi prende occasione per trattare appunto il tema della rapida espansione di questi «aeromobili a pilotaggio remoto», con argomentazioni molto interessanti per chi sia digiuno della materia, ma per presentare il tema prescelto, egli passa attraverso la seguente spiegazione della sigla che in Italia identifica gli APR - Aeromobili a Pilotaggio Remoto – a causa di un’infelice ed impropria traduzione dell’acronimo originale in lingua anglosassone che li aveva inizialmente definiti UAV – Unmanned Aerial Vehicles – e successivamente come UAS – Unmanned Aircraft Systems.

In entrambi i casi, la traduzione corretta in italiano sarebbe stata quella di “Aero-veicoli senza persone di condotta a bordo” e di “ Sistemi di Aero-veicoli senza persone di condotta a bordo”, ma non certo quella attribuitagli di Aeromobili, termine con il quale, in Italia, a norma della nozione giuridica contenuta nel Codice della Navigazione del 1942 - Parte aerea – art. 743 - usualmente si denominava «Aeromobile ogni macchina atta al trasporto per aria di persone o cose da un luogo ad un altro».

Soltanto con una cervellotica revisione di tale parte del Codice della Navigazione intervenuta nel 2005, è stata cambiata questa dizione soltanto per consentire di tradurre ed applicare per propri fini il termine inglese “aircraft” a chi evidentemente non sapeva come tradurre dall’inglese tale vocabolo in italiano!

Infatti, il termine anglosassone “air-craft” è composto da due radici, rispettivamente da “air” – dal Webstwer’s Dictionary definita «The misture of invisibile odorless tasteless gases (as nitrogen and oxygen) that surrounds the earth», cioè l’aria che noi umani respiriamo e da “craft”, definita «pl. usu. craft a) a boat esp. of small size or a small vessel propelled by paddles, sail or power; b) means of transport, communication», ossia in italiano, barca, imbarcazione, veicolo (Collins).

Dunque, la traduzione corretta di UAV sarebbe stata, per estensione, quella di “Aeroveicolo a Pilotaggio Remoto “, ma se ne ipotizziamo l’utilizzo commerciale nel lavoro aereo, in qualsiasi modo “controllato” da programmi automatizzati od azionato da esseri umani tramite telecomando oppure, se estremamente sofisticati (Ahi ! … il peso !) dotati di sensori capaci di eludere ostacoli e collisioni con altro traffico, allora dobbiamo parlare di UAS – ovvero di «Sistemi di Aeroveicoli a Controllo Remoto».

Quindi, in ogni caso, la traduzione in lingua italiana dei predetti droni, come definiti in inglese e come tali prodotti ed utilizzati ai fini dell’esercizio di attività di aviazione civile sia commerciale che di pubblica utilità, risulta comunque essere una grossa “asinata” fatta a suo tempo dalla nostra “suprema Autorità” dell’Aviazione Civile nazionale:- l’ENAC.

Tanto ritenevo di dover precisare, anche a vantaggio di chi intenda cimentarsi nella nuova era dei “sistemi aero-veicoli” fino a 150 kg. di peso.